Il prof. Ichino e i nullafacenti
Per sgombrare subito il campo dagli equivoci, preciso che, per ragioni professionali, sono controparte e non sodale del sindacato. E, per quanto possa sembrare paradossale, è proprio da questa posizione che vorrei spezzare una lancia in suo favore, perché ritengo il sindacato uno degli elementi portanti dello stato di diritto e, anche quando il suo operato sembrerebbe muoversi contro la logica del bene comune, resta sempre un elemento insostituibile nell’equilibrio dei rapporti tra le diverse componenti di una democrazia.
Dunque, al prof. Ichino, che sul Corriere del 29 agosto se la prende con “Sindacati e nullafacenti” del settore pubblico, vorrei ricordare, innanzi tutto, che in tutte le imprese che si rispettino, l’organizzazione del lavoro e la sua produttività, non è un problema del sindacato ma dell’imprenditore.
Anche quando contratta la monetizzazione della produttività, il sindacato lo fa solo perché utilizza uno strumento in più per portare soldi nelle tasche dei lavoratori, e non perché abbia in qualche modo a cuore gli interessi dell’imprenditore. Mancherebbe altro!
La logica dei rapporti di produzione, al di là di tutte le meline che si vogliono menare, è una sola: da una parte l’impresa, dall’altra il sindacato. L’impresa a curare la sua organizzazione, la sua efficienza, la sua modernizzazione, il suo mercato, i suoi profitti, avendo alla base l’indiscusso potere dispositivo dell’imprenditore, dall’altra il sindacato, a difendere, sulla base di un mandato di rappresentanza, i lavoratori, che sono tutti bravi, seri e professionalmente corretti, fino a prova contraria. Prova contraria che si esperisce con strumenti espressamente previsti dalla legge e che si chiamano contratto di lavoro, statuto dei lavoratori e giusta causa, o giustificato motivo, con il suo corollario normativo che comprende ristrutturazioni produttive, cassa integrazione e mobilità. E non si comprende perché nel settore pubblico le cose dovrebbero andare diversamente.
Non si comprende perché solo nel settore pubblico il sindacato dovrebbe assumersi l’onere di far funzionare la burocrazia, laddove lo Stato e gli Enti Locali si dimostrano, attraverso le loro emanazioni preposte a tali funzioni, assolutamente carenti.
Forse, più che col sindacato, bisognerebbe prendersela con i veri sponsor del pubblico impiego che vanno ricercati nella classe politica, indifferentemente di destra e di sinistra, a seconda dei settori e dei contesti territoriali in cui si va a rovistare.
Certo, nel settore pubblico la contiguità tra sindacato e politica è quanto mai stretto ma ciò non autorizza ad attribuire all’uno, responsabilità che ricadono quasi esclusivamente sulle spalle dell’altro.
Prima di chiamare in causa il sindacato per farsi aiutare a licenziare i nullafacenti, l’imprenditore-stato, regione, provincia o comune che sia, dovrebbe fare una seria autocritica e spezzare, una volta e per tutte, quella rete di complicità e di clientelismo che ha coperto per anni e anni inefficienze, sprechi e corruzione. Con la finalità di eliminare i nullafacenti facendoli produrre, non licenziandoli.
Francamente, dal prof. Ichino mi aspettavo qualcosa di più del solito, trito e ritrito, attacco al sindacato, difensore degli interessi corporativi dei disonesti a discapito del giusto riconoscimento agli onesti. Puzza di demagogia lontano un miglio e non introduce alcun elemento risolutivo che non sia quello, improbabile e poco auspicabile, dello scontro frontale, che fa tanto sognare il ceto medio silenzioso e riflessivo, ma che ha scarse probabilità di attuazione pratica, considerato, tra l’altro, che viviamo in democrazia
Forse, ripartire dal metodo dello spoils system, con riferimento ai sistemi di gestione più che alle finalità di applicazione, potrebbe rappresentare una strada più concreta. Affidare a manager di fiducia la gestione di un’Azienda Stato regolata da contratti di lavoro di tipo privatistico, potrebbe cominciare a produrre qualche frutto più consistente delle solite minacce di voltar pagina una volta e per tutte che, alla fine, si rivelano sempre intrise di quella logica gattopardesca, con la quale, in questo Paese, da tempo immemore, si pretende di “cambiare tutto perché non cambi nulla”.
E la proposta non andrebbe indirizzata al sindacato, ma alla classe politica. Che nella provincia in cui vivo io (centomila abitanti) per esempio, è stata capace di istituire ben undici comunità montane, con tanto di presidenti, consigli di amministrazione, dipendenti e bilanci milionari.
E lei che fa, illustre prof. Ichino? Con la puzza di marcio che ci avvolge da tutte le parti, invece di fare il professore, si propone, nell’era della concertazione e della cogestione, di organizzare magari un'altra marcia dei 40.000?
p.s. a causa della foga e dell'ora tarda, ho dimenticato la cosa più importante. le considerazioni esposte traggono origine da quanto scritto in proposito dall'amica Frine. E mentre apporto questa correzione, il cannocchiale ha di nuovo le doglie e non mi permette di mettere il link. Spero che Frine mi perdoni.